“Ho avuto una vita molto movimentata ma non cambierei nulla”. Intervista a Alberto Commodaro

Ciao Alberto, di te so che hai girato il mondo e che hai tante avventure da raccontare. Vuoi iniziare a raccontarci la tua giovinezza?

Io nasco a Reggio Calabria nel 1950. Già a nove anni mi trasferisco a Pavia con la mia famiglia. Di quegli anni ho dei bellissimi ricordi, soprattutto legati all’oratorio. Lì sono nate delle forti amicizie , nonostante l’atteggiamento nei confronti dei meridionali a quel tempo fosse ancora di forte pregiudizio, io sono riuscito ad avere dei buoni legami: pensa che con il prete dell’oratorio sono rimasto in contatto fino ad oggi.

Il mio percorso scolastico è stato breve, ma i tre anni di scuola media li ho fatti, anche se tre volte la prima! A quattordici anni, poi, sono andato a lavorare, imparando il mestiere di cameriere. Mi ricordo ancora, era il luglio del 1965. Questo è un lavoro che ho continuato fino a quando son dovuto partire per il servizio militare. Sono partito per Palermo, per poi ritornare a Pavia, nel ristorante in cui avevo già lavorato.

Poi iniziano presto le tue avventure internazionali…

Al mio ritorno in nord Italia, io e i miei cari amici dell’oratorio, con i quali avevo seguito dei laboratori di teatro, siamo stati invitati in Svizzera per lavorare come comici. Negli stessi anni, altri amici che erano studenti universitari mi hanno proposto di seguirli a Cambridge, in Gran Bretagna. Loro avrebbero studiato per sei mesi, io ho deciso di seguirli all’avventura. Era il 1972. Qui è girata la voce tra gli italiani già presenti in città e mi è stato offerto il primo lavoro come cameriere, in un Grand Hotel e non conoscendo la lingua ho ricominciato dalla gavetta. Il salario era di un pound al giorno! Riuscivo, tuttavia, a pagarmi le spese ed è stato un inizio, perché infatti, dopo sei mesi, è arrivato un altro italiano, tale don Pasquale, che aveva sentito che sapevo fare bene il mio lavoro e mi ha offerto un posto per ventidue pound alla settimana e ovviamente ho accettato.

I suoi amici però, avevano finito il loro periodo in Gran Bretagna.

Si, ma io sono rimasto. Il locale in cui lavoravo era nuovo e c’era una bella atmosfera e dopo che i miei amici sono andati via, mi son dato da fare anche per imparare la lingua, frequentando delle lezioni di inglese. Erano bei tempi, pensa che ho servito anche Margaret Thatcher, quando però non era ancora una politica conosciuta! A Cambridge ho condiviso un appartamento con un ragazzo francese, che frequentava il mio stesso college, alla fine ho imparato il francese prima dell’inglese.

E proprio il francese è l’inizio di una nuova avventura.

Nel 1975 sono partito in Francia, a Parigi, con venti pound in tasca. Non ero molto contento di essere in una grande città, in cui ti perdi tra tutta la gente. Sono, però, rimasto, per imparare il francese scritto. Ho fatto una gran fatica a trovare lavoro, ma dopo mille peripezie e l’aiuto di un amico alla fine il lavoro l’ho trovato e sono rimasto per circa un anno, prima di tornare in Gran Bretagna.

Anche la motivazione del mio ritorno in Gran Bretagna è stata poter ottenere il certificato di lingua inglese, perché allora sognavo di lavorare come traduttore a Milano. Per finanziarmi gli studi ho iniziato a lavorare sulle navi.

E’ stato questo il suo primo contatto con la Norvegia?

Esatto. Ero in trattativa con una compagnia navale di Genova, che faceva la tratta Genova-Barcellona, ma poi nel frattempo mi ha accettato una compagnia norvegese che girava il mondo. Andava nelle Hawaii, Tahiti, Caraibi, Alaska, Giappone, India etc.. è logico che ho scelto loro!

Ho iniziato lavorando sempre come cameriere e pian piano ho fatto anche l’animatore di bordo. La vita in nave mi è piaciuta molto, è facile abituarsi, ma dopo tre anni ho deciso di tornare indietro, non volevo rischiare di rimanere bloccato a questa vita di bordo troppo facile.

E come sei arrivato in terra norvegese?

Come succede a tanti, ho trovato la mia Vikinga a bordo della nave Royal Viking Star, con cui mi son sposato e ho avuto due figli: Cristina e Dario. Abbiamo prima provato a stare in Italia, io ho preso in gestione il locale dove avevo iniziato a lavorare negli anni ’60, ma la mia fidanzata non si è ambientata e dopo due anni e mezzo è partita in Norvegia…

E tu l’hai raggiunta a Trondheim?

Prima al nord della Norvegia, a Kirkenes, dove lei aveva trovato lavoro. Mi son fatto 5600 km con un Maggiolone Volkswagen da Pavia a Kirkenes, “for love”! Solo in seguito, nel 1983, siamo arrivati a Trondheim, dove lei aveva dei familiari. Anche qui, dopo un po’ di avanti e indietro, sono riuscito a trovare lavoro in un ristorante italiano – “Benitos” – che ho diretto per sei anni, poi ho messo su il mio Ristorantino nel Nordre gt.

Dopo aver visto il mondo, cosa non cambieresti della Norvegia e a cosa invece non ti sei mai abituato?

Della Norvegia mi piace tanto la calma e la semplicità della gente. Mi piacciono tanto anche alcune abitudini che noi non abbiamo in Italia, come il pranzo breve. In Italia c’è sempre questo appuntamento fisso del pranzo, ma magari uno vuole usare quel tempo per fare altre cose.

Dell’Italia mi manca il cibo, però ora è diverso qui rispetto agli anni ’80, quando di italiano non si trovava proprio nulla.

Che consiglio dai a chi vorrebbe venire in Norvegia per trasferirsi?

Il consiglio che do è che è necessario adattarsi, anche a cose come il cibo e il clima. E abituarsi al modo in cui si lavora qui.